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Un’annotazione di d. Geronimo Guglielmini parroco dello Spirito Santo in Terra Vecchia dei Casali di Bosco, in un atto dell’11 aprile 1669, ci lascia presupporre ad un caso di un “cattivo” redento

di Vincenzo Marasco

 

Archivio parrocchiale dello Spirito Santo in Torre Annunziata, Liber Baptizatorum I (1669-1694), fol. 1

 

Il 13 febbraio 1669 il Cardinale Arcivescovo di Napoli, Innico Caracciolo, decreta l’erezione di tre nuove parrocchie sorte sul territorio dei Casali di Bosco, tenimento tenuto sotto la forma allodiale della famiglia Piccolomini d’Aragona duchi di Amalfi, principi di Valle, baroni di Scafati e conti di Celano. Vengono così aperte al culto le chiese dell’Ave Gratia Plena del quartiere di Bosco, propriamente detta “l’Annunziatella”, quella di Oratorio votata a Sant’Anna e quella dello Spirito Santo sorta nella rinnovata Cappella della Pietà, fatta ergere già nel 1618 dai fratelli Strina in Terra Vecchia, l’antico casale dell’Università di Bosco che si estendeva più a Ovest fino alle prossimità della marina dove sorgeva il palazzo baronale dei Piccolomini, intercalato tra il territorio di Trecase e il feudo della Torre dell’Annunciata. Quest’ultimo amministrato all’epoca da D. Maffeo Barberini principe di Palestrina, esponente di una delle più potenti famiglie romane.

Assegnata alla parrocchia dello Spirito Santo anche la dotazione dei santi protettori, quali l’Immacolata Concezione, San Nicola vescovo di Mira e San Gennaro Martire, il 1° aprile il parroco Geronimo Guglielmini prende il possesso canonico, dando così inizio all’attività pastorale.

E’ l’11 aprile del 1669 quando don Geronimo registra il primo battesimo officiato nella nuova parrocchia. L’avvenimento, a chi a distanza di secoli si ritrova a leggere l’atto, appare subito singolare per via di alcuni dei nominativi delle personalità che vengono riportate. Tra questi spicca quello del principe D. Giovanni Piccolomini d’Aragona signore dei Casali di Bosco e di un esponente delle famiglia Loffredo di cui possiamo pensare possa essere un famigliare di Girolama Loffredo dei marchesi di Sant’Agata, consorte del principe Giovanni.

 

Particolare della facciata e del campanile della chiesa parrocchiale dello Spirito Santo in Torre Annunziata. Foto di Vincenzo Marasco.

 

Segue la trascrizione dell’atto:

 

«A undici d’Aprile 1669 Bosco T.(erra Vecchia) Diocesi di Napoli

Io d.(on) Geronimo Guglielmini Napolitano Parrocho della Venerabile Chiesa Parrocchiale

dello Spirito Santo di Terra Vecchia di Bosco ho battezzato una figliuola nata da Margherita

Roccella e Serafino Loffredi coniugi l’uno et l’altra prima turchi fatti Christiani

alla quale ho posto nome Leonora, Antonia nata alli 9 d.(ett)o mese, li padrini

sono stati il sig. Carlo Vasani della Città de Maina, per parte dell’Ill.(ustrissi)mo

Sig. D. Giovanni Piccolomini d’Aragona per procura fatta per mano di Notaro

Domenico Antonio Roncho et la Sig.ra Geronima Corrado della terra di S.(an)to Paolo Diocesi di

Nola da parte della Sig.ra Olimpia Caposelli del Cilento moglie del S.(ignor) Giuseppe

Pommenni per procura fatta per mano de Notaro Domenico D. Vico de Napoli, la

mammana è stata Diana Gaglione de Bosco. D.(on) Geronimo Guglielmini Parrocho.»

 

Frontespizio tratto da AA.VV., Iesus Maria, per aiuto de poveri Christiani schiavi in mano d’Infedeli, Francesco Savio Stampatore della Corte Arcivescovile, Napoli 1644

Il particolare degno di nota che non viene trascurato dal parroco, su cui non si può non abbandonarsi a delle riflessioni, è quello che riferisce che i coniugi Loffredo siano stati «prima turchi fatti Christiani». E’ palese che don Geronimo voleva annotare la testimonianza riferita ad una conversione, o la pregressa riconversione dall’islam alla religione cattolica dei genitori della nascitura che in quel momento si apprestava a ricevere il sacramento.

Ma perché questa conversione o riconversione dei Loffredo? Potrebbe essere che Serafino Loffredo sia stato un “cattivo” redendo dalla schiavitù in “Barberia”? Se la motivazione di quell’annotazione è realmente questa, allora per trovare ulteriori riferimenti, ci sarebbe da affrontare un’accurata indagine nei carteggi del fondo della “Redenzione dei Cattivi”, raccolta di atti e documenti di vario genere conservata presso l’Archivio di Stato di Napoli, in quanto tra il XVI e il XVIII secolo non sono affatto rari gli episodi riguardanti quei “cattivi”, da captivus riferito ai marinai soldati catturati dagli equipaggi musulmani, impegnati nelle loro battute di pesca nelle acque del Mediterraneo, fatti poi schiavi dai saraceni che le infestavano per poi essere condotti in “Barberia”, come venivano indicati tutti quei territori detti turchi del Nord Africa e del Medio Oriente. In questo non si escludono nemmeno i rapimenti di quei mercanti o diplomatici impegnati per i loro affari presso i territori e le corti saracene.

Detto ciò, lì dove successivamente si riusciva ad avviare un processo di liberazione, previo un accordo tra le parti consistente sempre nel pagamento di un riscatto, che nel più dei casi richiedeva delle cifre esorbitanti, a cui spesso le famiglie dei marinai prigionieri non potevano far fronte. All’uopo ad occuparsene interveniva l’esercizio di specifiche congregazioni o così detti “pii monti”, come nel caso specifico di Torre del Greco dove tra i loro ruoli di sussidio e opere pie riservate agli equipaggi delle coralline, si occupavano anche della redenzione di quei “cattivi” fatti prigionieri in territorio saraceno.

Tuttavia in attesa che venisse avviata la complessa trattativa per la liberazione e che si stabilissero i contatti necessari per portare a termine le lungaggini delle operazioni diplomatiche tra le parti, non certamente facili e nemmeno di una sicura riuscita, non rappresentava una rarità che nel frattempo i prigionieri si convertissero alla religione islamica con lo scopo e la convenienza di poter trovare maggior sollievo dalle terribili condizioni della prigionia. Tale conversione, una volta riportati in patria, doveva essere riconvertita immediatamente al cattolicesimo, perché il beneficio goduto, con l’intervento delle opere pie delle congregazioni impegnate nella trattativa, nelle indagini preliminari prevedeva anche la conferma di una solida moralità cristiana del prigioniero che si sperava di poter liberare grazie alla mediazione degli enti preposti. Ed è solo così che possiamo plausibilmente validare la supposizione riguardante l’annotazione non trascurata da d. Geronimo Guglielmini, che ci ha invogliato a vagliare una così importante e poco nota pagina di storia, che interessò in maggior modo il Meridione italiano.

Per un maggior approfondimento sulla questione in ambito vesuviano, si consiglia la lettura del lavoro di ricerca storica svolto dal dr. Giuseppe Maddaloni, Presi dai Turchi. Storie di pescatori di corallo schiavi in Barberia, Edizioni Scientifiche e Artistiche, Napoli 2014.