Un accenno alla ricorrenza votiva del 22 ottobre di Torre Annunziata
di Vincenzo Marasco.
Il cielo sopra Torre Annunziata, la mattina del 22 ottobre del 1822, lasciò il posto alle tenebre.
In quei giorni il Vesuvio stava mettendo a segno una delle eruzioni più violente del XIX secolo.
La popolazione torrese, come per altro tutti gli abitanti dei paesi limitrofi al vulcano nel raggio di ben 12 chilometri, durante i giorni precedenti all’evento parossistico, aveva avuto delle sorde avvisaglie, anche se oramai nessuno più faceva caso a quei continui brontolii in quanto, in quell’epoca, la montagna, era solita dare spettacolo di se mediamente ogni 3 o 4 anni e i terremoti erano all’ordine del giorno, tant’è vero che oramai vigeva tra la gente una certa assuefazione.
Ma in quei giorni di metà ottobre il Vesuvio fece davvero sul serio. Insomma, fu l’ennesimo monito per mettere le carte in chiaro e dimostrare chi fosse il pater omnia di quei luoghi e di chi realmente si doveva temere.
Dopo alcuni giorni di tremori, durante le prime ore del 22 ottobre, dal cratere si iniziarono ad intravedere i primi zampilli di scorie e brandelli lavici: era il segnale dell’intensificazione dei fenomeni. A mezza giornata, oramai in un cielo intriso di ceneri e lapilli, sulla sommità del monte si intravide una enorme colonna eruttiva ben sostenuta. Le testimonianze dell’epoca, raccolte in alcuni memoriali degli studiosi naturalisti che osservarono il fenomeno, valutarono la sua altezza in circa 4 chilometri.
Durante i giorni a seguire crebbero le fasi esplosive ed ebbe inizio anche una consistente attività effusiva per lo più eccentrica (attività laterali). Mentre lungo i fianchi serpeggiavano le colate laviche, in alto, sulla cima del cratere, nelle notte tra il 22 e il 23 Ottobre, si intensificò anche l’attività elettrica con continue scariche di fulmini che si abbattevano lungo i fianchi della montagna.
Il 24 le lave iniziarono ad avvicinarsi all’abitato di Boscotrecase minacciandolo seriamente, mentre l’intensa attività stromboliana causò un notevole accumulo di materiale vulcanico su tutta l’area pedemontana.
A Boscotrecase, per il peso dei materiali scoriacei accumulati, crollò il tetto della chiesa di Sant’Anna, mentre a Torre Annunziata la stessa sorte la ebbero le abitazioni rurali.
La furia della montagna si placò solo il 10 Novembre. In seguito divenne un problema serio la formazione di turbolenti colate di fango generate dalle intense piogge stagionali, che riversarono a valle l’immane quantità di materiali vulcanici depositati lungo i fianchi del Vesuvio durante l’eruzione.
A fine eruzione il vulcano si presentò agli occhi del Prof. Teodoro Monticelli, naturalista che salì per primo al cratere per una ricognizione, squarciato e con una profonda voragine sulla sua sommità.
La Madonna della Neve, a seguito dell’eruzione, si rivela la speranza del popolo torrese.
Torre Annunziata visse quei terribili momenti in grande apprensione. Solitamente era difficile che il Vesuvio potesse minacciare direttamente la città, ma durante i primi giorni di quell’eruzione, vista la violenza dei fenomeni, buona parte del popolo torrese, estremamente preoccupato e impaurito, scappò verso luoghi più tranquilli. Ma non tutti vollero o riuscirono ad abbandonare la città. Ovviamente anche perché non tutti avevano le possibilità per farlo; i pochi averi erano indispensabili per il proseguo della vita quotidiana e andavano cautelati. Unico sollievo rimasto a quei pochi torresi rimasti in paese fu la fede che divenne strumento indispensabile per trovare degno conforto in quel frangente così drammatico.
Come abbiamo già detto, il giorno 22 Ottobre, primo giorno dell’eruzione, il Vesuvio non dimostrò nessuna clemenza. Torre Annunziata era piombata in un’oscurità che annullava anche la luce dei lumi che di solito davano spiraglio alla notte, che seppure accesi in pieno giorno non riuscirono a distogliere le tenebre dalla cittadina. Le poche genti rimaste in paese, per lo più pescatori che non vollero abbandonare le loro umili case, le attrezzature da pesca e i loro gozzi accatastati lungo la marina, dopo aver messo a riparo le reti e i pochi effetti di sussistenza di quella loro misera esistenza, animati da una fievole speranza di fede, decisero di mettere alla prova quella Sacra Icona che secoli addietro avevano strappato dall’impeto delle acque. Così, accompagnati dagli altri pochi abitanti del rione dell’Annunziata rimasti, si recarono verso la Parrocchia di Ave Gratia Plena dove trovarono in veglia della chiesa, spalancata al popolo per mutuo soccorso, un impavido parroco che preferì non abbandonare i suoi concittadini: era Don Rocco Bali, prelato della confinante Curia napoletana.
I pescatori entrati in chiesa chiesero di prelevare l’Effige di Maria SS. della Neve e portarla in processione fino allo slargo di Santa Teresa per chiedere la sua intercessione. Acconsentita la richiesta, i pescatori seguiti da Don Rocco e da chi non era fuggito, fra le preghiere e il plauso, prelevarono la Madonna col Bambino e caricata sulle spalle ossidate dalla fatica e dalle intemperie del mare, la portarono al cospetto del mostro: dalle tranquille e dolci acque al tremendo e furioso fuoco!
Arrivati allo slargo di Santa Teresa, in silenzio chi seguì il corteo attese che si facesse l’onnipotenza divina. L’unico che non si affidò al silenzio fu Don Rocco Balì le cui parole, in quell’istante orrido, dovevano stroncare l’oppressione di quelle tenebre scatenate dal vulcano per invocare con forza l’aiuto della Madonna. Esse dovettero essere impetuose, supplichevoli, di assoluta fede. Don Rocco, con le sue preghiere, sostenuto da quei pochi che non si afflissero, invocò come meglio poté il segno celeste.
Mentre le ceneri del Vesuvio avevano affossato i piedi e le ginocchia di quei virtuosi torresi, e la paura delle saette aveva oscurato i cuori affranti, in quel cielo plumbeo si intravide uno spiraglio. Un raggio di fioca luce si avventò sulla piazza, e come narrano i nostri padri, quel fievole bagliore colpì l’immagine di Maria col Bambino: era il segno tanto atteso; la Madonna ammoniva la montagna e rassicurava il popolo torrese; il Vesuvio li avrebbe risparmiati.
Il popolo festante, accolto il messaggio, portarono l’Effige in processione per le vie cittadine stracolme di materiale vulcanico.
In un clima di giubilo, Torre Annunziata ebbe la certezza della salvezza. Fu così siglato il voto della città verso la Sacra Effige di Maria SS. della Neve. Torre Annunziata gli sarebbe stata grata in eterno.
Fu questa la storia che istituì in perpetuo la ricorrenza votiva di Torre Annunziata a ringraziamento di quella Divina intercessione dovuta a Maria SS. della Neve, che venne poi intronizzata al fianco della Vergine Annunziata, anch’essa, come patrona della città.