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I Reietti: il riassunto di un’immane tragedia di piccole vittime senza colpa alcuna

di Lucia Muoio

Nei secoli trascorsi, in Italia e in particolare nel Meridione della Penisola italiana, il tasso di mortalità tra gli infanti era altissimo, sia per i disagi economici delle famiglie, che per le precarie condizioni igieniche e di conseguenza per le malattie esantematiche. Neppure Torre Annunziata sfugge a questi dati impietosi: infatti scorrendo nell’Archivio della nostra Città i Registri anagrafici dell’800, e in particolare quello dell’anno 1814, vengono registrati più di 100 bambini deceduti, appartenenti a famiglie disagiate; il dato che maggiormente sconvolge in queste pagine è il segno della Croce che precede il nome del piccolo scomparso.

Quando il bambino nasceva morto, oppure era stroncato da malattia, il padre, accompagnato da due testimoni, si presentava con la piccola salma all’Ufficiale Comunale (nell’800 il Comune era ubicato presso il Palazzo Monteleone). Una volta accertato il decesso, il funzionario dava al genitore il permesso della sepoltura.

Per un lungo periodo all’interno del Cimitero di Torre fu individuata una zona per seppellire i bambini, forse a spese dell’Ente locale, per cui ancora oggi si usa l’espressione dialettale «u campusante r’i ccriature».

Parallelamente al problema della mortalità si presentava il destino dei bambini indesiderati: la Storia denuncia che spesso venivano gettati nei fiumi; poteva anche verificarsi che il genitore dovesse salpare per un nuovo paese, in cerca di lavoro, per cui abbandonava il neonato davanti alla porta della stessa levatrice con la speranza che costei provvedesse ad espletare le pratiche necessarie per l’affido, come recita un altro documento dell’Archivio Storico di Torre Annunziata.

Per la tutela pubblica dell’infanzia abbandonata e per porre fine all’infanticidio, fin dall’inizio del III secolo, a Roma e successivamente in alcuni paesi europei, venne istituita la Ruota dei Proietti: una bussola girevole, dove era possibile collocare i bambini indesiderati. Nel Regno di Napoli tale istituzione si diffuse durante la dominazione francese (1806-1815), anche se un documento condiviso da Vincenzo Marasco attesta che a Napoli, già dal 1623, era funzionante quella della Santa Casa dell’Annunziata.

Interno della ruota dei reietti della Real Casa dell’Annunziata di Napoli

In queste bussole venivano esposti i più fortunati, accompagnati da un oggetto di riconoscimento, nel caso in cui la madre ritornasse a riprenderlo. In genere i piccoli abbandonati erano poi recuperati dalle suore, allertate dal suono della campanella, posta all’esterno dell’abitacolo. Le religiose prestavano loro le prime cure e contrassegnavano i bambini con una lettera o un numero, imponendo loro anche un cognome, spesso di fantasia. Nei Registri dell’Anagrafe torrese se ne contano più di cento, che, per rispetto e per diritto alla riservatezza delle persone coinvolte, non riporterò né qui né altrove.

Quando uno dei Reietti veniva adottato, la famiglia adottiva, se era benestante, poteva cambiargli il cognome e registrarlo col proprio, il romanzo di Maria Orsini Natale, “Francesca e Nunziata” fa testo in merito. Se i genitori adottivi non possedevano la somma per le spese del tribunale, al bambino veniva lasciato il cognome di fantasia e si verificava allora che nella famiglia i figli, naturali e adottivi, avessero cognomi diversi. I più sfortunati rimanevano nei brefotrofi fino alla maggiore età, e solo allora, personalmente, potevano scegliere di conservare il cognome o fare richiesta al Tribunale di cambiarlo.

L’espressione latina “Impius ut cuculus generat pater atque relinquit quos locos infantes exipit iste nothos”, cioè “Empio come il cuculo, il padre genera ed abbandona in luoghi solitari i figli che codesta Ruota accoglie come illegittimi”, riassume i contorni di un’immane tragedia, di cui sono vittime piccole creature senza colpa alcuna.

2 thoughts on “I Reietti: il riassunto di un’immane tragedia di piccole vittime senza colpa alcuna

  • Raccontare reali fatti di tempi trascorsi, fa parte della storia, la stessa storia si alimenta di usanze, di tradizioni e fatti sciali che per la disumana tristezza del loro svolgimento, vengono quasi celati e poi dimenticati. Ricordarli è un richiamo alla conoscenza.

    • Vincenzo Marasco

      La ringrazio per l’attenzione mostrata al nostro lavoro di ricerca. Ci impegniamo senza nessun altro scopo che non sia quello della diffusione della conoscenza storica dei nostri luoghi. Un caro saluto, V.M.

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