CentroStudiStorici"Nicolòd'Alagno"

Quaderni di Storia e Storie torresi

 

Vincenzo Marasco, Antonio Papa

Il compagno Mario Guarriera. Una vita in “rosso” tra Socialismo e Antifascismo

Quaderni di Storia e Storie torresi, I

Centro Studi Storici “Nicolò d’Alagno”, Nola 2017, pp. 16 con illustrazioni in b./n., ISBN 9788899742171

«Ogni luogo, nel corso della sua storia, vanta fatti i cui risvolti, in un modo o nell’altro, avendo segnato la sfera sociale e urbana per la loro peculiarità, sono rimasti vivi nella memoria di chi li ha vissuti in modo diretto. Torre Annunziata di certo non poteva sottrarsi a una tale contestualità storica e per questo vogliamo rendere nota la storia di Mariano Guarriera, conosciuto a suo tempo semplicemente come Mario, le cui gesta e la cui personalità forgiata alla scuola liberale lasciarono un’impronta indelebile in una delle epoche moderne più buie e disperate che l’intera Nazione abbia mai vissuto: il Ventennio Fascista.

Le vicissitudini di Mario Guarriera, avvincenti in tutto, sono riuscite a marcare la sensibile lealtà di ideali politici smarriti. Egli, come tanti altri suoi concittadini e uomini che sposarono il suo stesso pensiero, fece di se stesso uno strumento con cui riuscì a contribuire in modo prezioso affinché a Torre Annunziata si potessero stabilire i minimi diritti vitali di tutti quegli operai e cittadini che tanto si impegnarono per la grandezza economica locale. Oltre ciò Mario fu un baluardo anche contro il Fascismo a cui si oppose in ogni modo. Quando poi tutto sembrò finito fu il destino, beffardo, a decidere sulle sue sorti che comunque lo hanno consegnato alla storia torrese come uno dei suoi figli migliori.»


Lucia Muoio

La partita a scacchi. Ricordo del prof. Carmine Aprea, filologo, poeta ed eroe

Quaderni di Storia e Storie torresi, II

Centro Studi Storici “Nicolò d’Alagno”, Youcanprint Self-publishing, Tricase 2018, pp. 72 con illustrazioni a colori.

Premessa dell’Autrice

«È con orgoglio che mi sono decisa di onorare la memoria del prof. Carmine Aprea, perché la lettura delle sue rime ordinate nel volume Carmina Carminis mi ha fatto vivere le esperienze di una esistenza eccezionale, che tanto tempo fa avevo appena sfiorato.Con religiosa commozione ho percorso questi momenti, attraverso i ricordi, le testimonianze dei suoi cari, le chiose ai margini dei suoi libri, su cui formò la sua personalità, ma soprattutto attraverso i suoi versi, che, fedeli come le pagine di un diario, raccontano le eroiche vicende della sua nobilissima vita, che egli a volte visse in punta di piedi o assorto in sofferta meditazione dei tumultuosi eventi bellici, di cui fu protagonista nel Secondo Conflitto Mondiale. Il Professore dedicò la sua vita alla famiglia e soprattutto all’insegnamento, che considerò sempre come una missione, ma un posto predominante ebbero le sue e le altrui vicissitudini in guerra e in pace.

Con profonda ammirazione conserverò il ricordo dei nostri incontri, quando mi contendeva alla moglie, per poter discutere con me di un canto di Leopardi, del pensiero di un filosofo greco o di un costrutto latino e per aggiornarmi sui suoi studi e sui risultati delle sue ricerche. Questo testo svelerà aspetti inediti della vita di una persona rarissima, che nell’eterna lotta tra il bene e il male scelse sempre di essere fulgido esempio di rettitudine, di coerenza e di semplicità per tutti quelli che ebbero la gioia di conoscerlo.»


Vincenzo Marasco

Riferimenti etnografici nella Torre dell’Annunziata del ‘700 dell’Abate Jean-Claude Richard de Saint-Non

Quaderni di Storia e Storie torresi, III

Centro Studi Storici “Nicolò d’Alagno”, Youcanprint Self-publishing, Tricase 2018, pp. 20 con illustrazioni in b./n., ISBN 9788827864746

«Tante volte i ricercatori che operano nel campo dell’indagine storica locale, nel ritrovarsi a studiare talune opere iconografiche del proprio territorio di interesse, riescono ad individuare particolari che ai tanti invece sfuggono, perché magari non destano nessuna curiosità, o, ancora, che non necessitano di un giusto approfondimento. Spesso sono proprio questi particolari, che seppure al primo sguardo possono sembrare delle minuzie, da una loro analisi più accurata permettono di individuare nel dettaglio elementi utili per formulare delle tesi che poi possono sfociare successivamente in vere e proprie argomentazioni antropologiche ed etnografiche da trattare con estrema attenzione.

In tal caso il nostro interesse si focalizza in particolare su una delle due incisioni all’acquaforte – specifica tecnica tipografica in voga già dal XVI secolo, il cui risultato di stampa era ricavato mediante l’utilizzo di lastre di rame, su cui precedentemente erano state incise le matrici speculari dei disegni da imprimere e poi trattate in acido nitrico oppure cloruro di ferro – pubblicate dall’abate Jean-Claude Richard de Saint-Non nel volume primo del suo Voyage pittoresque au description des Royaumes de Naples et de Sicile (Parigi 1781), opera realizzata successivamente ai suoi numerosi viaggi in Italia effettuati tra il 1756 e il 1780, soprattutto nel Regno delle Due Sicilie, rimanendo vivamente impressionato, in compagnia di alcuni suoi amici artisti francesi, tra cui i disegnatori e pittori Hubert Robert (Parigi, 22 maggio 1733 – 15 aprile 1808) e Jean-Honoré Fragonard (Grasse, 5 aprile 1732 – Parigi, 22 agosto 1806).»


Felice Marciano, Vincenzo Marasco, Vincenzo Amorosi

Francesco Alessandrella. Diario di guerra

Quaderni di Storia e Storie torresi, IV

Centro Studi Storici “Nicolò d’Alagno”, Vulcanica s.r.l., Nola 2019, pp. 158 con illustrazioni in b./n., ISBN 9788899742430

Prefazione del dott. Angelandrea Casale, Ispettore on.rio Ministero Beni Culturali

«Sulla città di Torre Annunziata centinaia sono i lavori a stampa prodotti da autori del luogo o di altre località nell’arco di tempo che va dal Seicento ad oggi. Archeologia, storia cittadina, monumenti, luoghi di culto, arte, cultura ed altre discipline del sapere sono state affrontate e rese note al grosso pubblico attraverso pubblicazioni di carattere scientifico e divulgativo. Mancava uno studio sulla Seconda Guerra Mondiale inerente il diario di un prigioniero torrese nel territorio franco-tedesco: documento importantissimo per la “macrostoria” e ancor di più per quella locale. Torre Annunziata, sorta sotto il celeste manto di Maria SS. della Neve, dopo secoli di splendore civile ed industriale, seguito da un periodo grigio, da qualche anno va “riscoprendosi”, grazie all’impegno di attenti e preparati studiosi. Va riconosciuto pertanto un meritato plauso ai solerti autori Vincenzo Amorosi, Felice Marciano e Vincenzo Marasco per aver curato la pubblicazione del diario di guerra e di prigionia (settembre 1942 – marzo 1944), del geniere torrese Francesco Alessandrella. Il libro, fortemente voluto dalla famiglia dell’eroico militare, attraverso i diversi incontri di lavoro intercorsi tra il figlio Orazio Alessandrella (a nome proprio e dei suoi fratelli) e gli autori, copre un tassello mancante della bibliografia torrese. La pubblicazione, scaturita da un primo incontro del Sign. Orazio con gli autori ed il sottoscritto, avvenuto durante una manifestazione culturale che andava svolgendosi nella Chiesa dello Spirito Santo nel dicembre 2017, vede oggi la luce per i tipi della Vulcanica s.r.l. di Nola, grazie alla munificenza della famiglia Alessandrella. Essa, con questo nobile gesto, ha contribuito alla diffusione di una gemma preziosa della cultura nazionale e torrese, in quanto il diario di prigionia e di guerra di un soldato italiano racchiude le sofferenze, le speranze, l’avvenire di una intera Nazione.»


Vincenzo Marasco, Antonio Papa

Aurelio Spera e Pasquale Monaco, due vite per il Cervino

Quaderni di Storia e Storie torresi, V

Centro Studi Storici “Nicolò d’Alagno”, Vulcanica s.r.l., Nola 2020, pp. 36 con illustrazioni in b./n., ISBN 9788899742545

Introduzione del prof. Ciro Teodonno, Presidente della Commissione Regionale per la Tutela dell’Ambiente Montano CAI

«Spesso gli alpinisti definiscono se stessi come conquistatori dell’inutile, forse perché già in loro stessi è presente la consapevolezza di quanto effimera possa essere la soddisfazione di arrivare in cima a una montagna, soprattutto se paragonata allo sforzo e al rischio per raggiungerla per poi subito abbandonarla a causa della mutevolezza degli elementi. Ebbene, da buon camminatore, e da scarno alpinista quale sono stato, posso dire che quell’inutile che conquistiamo in vetta non è dissimile da quell’inutile che conquistiamo ogni giorno portando avanti i nostri principi, i nostri ideali e le nostre piccole, grandi imprese; inutile forse perché effimero, ma sostanziale per la nostra esistenza.

Spesso, quando si parla di montagna in un paese con quasi 8 mila metri di costa si dimenticano i 1.200 chilometri di Alpi e soprattutto i 1.400 chilometri di Appennino, ma la naturale propensione di chi volge lo sguardo sull’orizzonte della vita da un punto e un contesto più alto e aspira a un qualcosa di più che l’ordinaria esistenza, non può che contemplare, oltre che le profondità del mare anche e soprattutto quella metafora di vita che sono le nostre vette montane. Salire in montagna ti insegna a vivere, perché ti mette crudamente al confronto con te stesso, ti mostra chi realmente sei senza menzogne e senza scusanti, è lì che capisci quanto vali, perché è in quel contesto che decidi se prendere di faccia la tua essenza o rinnegarla, nascondendola magari dietro la sorte o dietro colpe altrui; è lì in montagna dove decidi se essere un uomo o qualcos’altro, perché è in montagna che non si mente, perché non è possibile farlo. Ecco perché chi ci va sa; è consapevole di ciò che affronta e ne accetta le condizioni, perché è cosciente che potrà essere contraccambiato con una doppia moneta, quella della gloria effimera della vetta o quella del rischio del fallimento, spesso con fatali conseguenze. Oggi andare in montagna è diventato un qualcosa alla portata di tutti coloro che vogliano cimentarsi sulle nostre catene montuose, ma, se da un lato è un bene perché avvicina più persone alla conoscenza di questo splendido e fondamentale contesto, dall’altro si è andato perdendo quel fascino che l’alpinismo aveva nei tempi passati, perché per molti, andare in montagna è ormai uno sport, è un’attività prestazionale e non una disciplina dell’anima. Aurelio e Pasquale erano probabilmente persone che vivevano in ragione di quel sentimento che ti eleva ad essere migliore nel corpo, ma anche e soprattutto nell’anima, in ragione di ciò che ti avvicina a un qualcosa di più elevato che non sia legato a un che di materiale, ma che dia significato alla tua esistenza. Aurelio e Pasquale erano giovani e come è giusto che fosse, la loro età li ha portati ad osare perché questo verbo è complementare con quello di vivere ed è sostanziale con la storia dell’umanità; loro hanno vissuto pienamente, tanto che a sessantaquattro anni dalla loro scomparsa siamo ancora qui a parlarne. Loro fallirono in modo letale nell’ardua impresa, ma la morte non è mai inutile se ha un suo significato, un suo valore, la vera morte non è il fallimento di un’impresa, la vera morte è non vivere la vita.»


Luigi Ausiello, Vincenzo Marasco

La cappella gentilizia di Sant’Aniello in Torre Annunziata

Testimonianze storiche, architettoniche e documentarie

Quaderni di Storia e Storie torresi, VI

Centro Studi Storici “Nicolò d’Alagno”, Youcanprint Self-publishing, Tricase 2020, pp. 44 con illustrazioni a colori

Presentazione della prof.ssa Lucia Muoio

«Gli Autori del presente testo ancora una volta dimostrano che il loro interesse per il patrimonio archeologico della nostra città rimane intatto negli anni, anzi la capacità di raccontare vicende e personaggi del passato diventa sempre più raffinata e ricca di particolari, che hanno il potere di ricostruire e rendere tangibili spaccati di vita torrese, memorie di protagonisti e di luoghi di cui si temeva aver perso ogni traccia. Perciò le loro indagini svegliano nel lettore la curiosità, l’interesse per il nostro vissuto con il lodevole intento di fissare in aeternum ciò che esisteva ab immemorabili sul nostro territorio. E quando gli Autori con la loro indomita volontà rimuovono i detriti che avevano custodito per decenni, per millenni le tracce del passato cittadino, grande è lo stupore del lettore davanti alle meraviglie dissepolte. L’impatto è molto simile a quello che lo spettatore vive quando a teatro si alza il sipario e sul palcoscenico appare la scena illuminata. Allora ci si rende conto che la nostra storia vuole essere svelata, e che la nostra sete di conoscenza è continua ricerca di noi stessi, della nostra essenza, e in questo modo l’immagine di una realtà sociale, scoperta, ricomincia a vivere sotto i nostri occhi. Apprendiamo, così, che Torre Annunziata era un centro ricco di cultura e di fede anche nel suo modesto abito rurale, e proprio la pratica della profonda fede religiosa rendeva necessarie la diffusione del culto di nuovi santi protettori e l’istituzione di nuovi luoghi di culto, quale, nel nostro caso, la Cappella gentilizia dedicata a Sant’Aniello. La piccola Cappella sorgeva nel contesto sociale del rione della Provolera nei pressi della Real Fabbrica d’Armi, troppo vicina, ahimè, a un luogo nefasto (come esclama Virgilio nella IX Egloga, riferendosi a Mantova e Cremona accomunate dallo stesso triste destino durante la Guerra civile a Roma…“Mantova, ahimè troppo vicina all’infelice Cremona”) e proprio questa infausta vicinanza determinò la sua breve vita, perchè durante la Seconda Guerra Mondiale, nel 1943, la costruzione fu squarciata dai bombardamenti degli Alleati. Le macerie e alcune testimonianze architettoniche per decenni erano rimaste quasi completamente celate agli sguardi dei passanti da un cumulo di terra che la Natura pietosa aveva coperto con un manto di edera rampicante, con qualche rara fioritura selvatica. In questo lasso di tempo il luogo fu immerso in un’atmosfera di mistero, in cui abitava pacificamente, secondo la credenza popolare, un solitario fantasma, che si divertiva a spaventare impavidi curiosi, soprattutto ragazzi, che, magari durante una partita di pallone disputata nello spiazzo antistante la cappella, scappavano a gambe levate e il cuore in gola. Recentemente, l’ultimo atto della maledizione del sito: un crollo repentino e fragoroso ha cancellato l’estrema traccia dell’antico splendore. Ma prima che questo accadesse, Vincenzo Marasco, con la sua audacia di combattente del “Battaglione S. Marco”, è riuscito a immortalare per i posteri le ultime testimonianze del piccolo monumento e a ricostruire, insieme al dott. Luigi Ausiello, una fedele planimetria del complesso architettonico. A noi non resta che essere fieri e grati agli Autori per questa ulteriore memoria della nostra antica e complessa terra, dove la Storia giace stratificata sotto compatti letti di cenere e lapilli e, quando gli studiosi, come nel loro caso, si fanno spazio tra i detriti, accendono la scena, e instaurano un dialogo con la sensibilità del lettore per questo genere di argomenti. Ed è quello che succede con il testo che avete tra le mani. Ed è quello che è successo a me quando mi sono trovata tra le mani i risultati delle ricerche dei miei amici Autori: anch’io ho ritrovato un tesoro scomparso della nostra Torre e tutto è stato una rivelazione, soprattutto perché, pur abitando in quella zona , pur avendo frequentato, ai tempi del liceo, durante le ore scolastiche di Educazione Fisica, la palestra che sorgeva alle spalle del complesso in un locale del Palazzo Littorio, non ero venuta mai a conoscenza di questo spaccato di storia della nostra amata Città. Ancora di più grata e riconoscente agli Autori.»


Luigi Ausiello, Vincenzo Marasco

La cappella gentilizia di Sant’Aniello in Torre Annunziata

Testimonianze storiche, architettoniche e documentarie

Quaderni di Storia e Storie torresi, VI, II edizione rivista e integrata con ulteriori notizie

Centro Studi Storici “Nicolò d’Alagno”, Youcanprint Self-publishing, Tricase 2022, pp. 44 con illustrazioni a colori,

ISBN 9791221446999


Vincenzo Marasco, Lucia Muoio, Antonio Papa

Nunziato Setaro. Il caparbio e sapiente testimone dell’arte bianca di Torre Annunziata

Aspetti storici e contemporanei dell’ultima grande impresa pastaia torrese

Quaderni di Storia e Storie torresi, VII

Lavoro storico e biografico tratto da ” Vita, opere e azioni di 22 Figli illustri di Torre Annunziata. Raccolta II (2022)”

Integrato con ulteriori notizie e corredato di un’appendice fotografica e iconografica

Centro Studi Storici “Nicolò d’Alagno”, Youcanprint Self-publishing, Tricase 2022, pp. 44 con illustrazioni a colori, ISBN 9791221450811

«I Setaro, pastificatori di Torre Annunziata, vanno considerati testimoni di una tradizione locale che dura da oltre quattro secoli. L’impresa cui oggi Torre Annunziata deve essere grata, in quanto è la superstite di uno stillicidio industriale che ebbe inizio negli anni prossimi al Secondo Conflitto Mondiale, deve la sua genesi ad un uomo semplice, ad uno di quegli anonimi lavoratori, qualsiasi, che un giorno comincia a maturare l’idea di dover fare il pastaio a qualunque costo, anche, quasi scommettendo d’azzardo, andando contro corrente in un contesto, dove la crisi del settore è ormai dilagante.

Nunziato Setaro, deciso e calcolatore, contando solo sulle proprie capacità tenta un’impresa nella quale, in un periodo di crisi nazionale nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di lanciarsi: era l’anno 1939 quando Nunziato promette a sé stesso e a sua moglie Irene che sarebbe diventato un pastaio, e ci riesce.»


Francesco Marasca

Diario dei Ricordi

Viaggio nei luoghi della mia gioventù tra il quartiere della Pruvulera e la Torre Annunziata che non c’è più

Opera post mortem trascritta e curata da Vincenzo Marasco

Quaderni di Storia e Storie torresi, VIII

Centro Studi Storici “Nicolò d’Alagno”, Youcanprint Self-publishing, Tricase 2022, pp. 68 con illustrazioni a colori e in b/n

ISBN 9791221446906

Introduzione di Vincenzo Marasco

«Solitamente andavo a trovare Zio Francesco il sabato pomeriggio, quando i miei impegni settimanali me lo consentivano. Quei momenti trascorsi a discutere con lui, presso il bilocale che aveva in affitto al primo piano di un edificio di Via Domenico Cirillo, quasi come se fosse un rifugio dove poter trascorrere i suoi attimi di riflessione, a volte volevo che non finissero mai. La discussione veniva sempre iniziata seduti al tavolo del cucinino che fungeva anche da ingresso e disimpegno, dopo che egli aveva messo su la caffettiera e si era riacceso la mezza sigaretta già in parte fumata, e lasciata in sospeso tempo prima. In quel nostro discutere, per anni, c’è stato sempre un tema riguardante la città, oltre che la storia della nostra famiglia e tutti quei frangenti passati, gli uomini e le donne che hanno segnato grosso modo l’evolversi della vita cittadina.

Zio Francesco era come un libro da sfogliare, bastava solo girare un foglio per scoprire un capitolo in più.

Spesso anche osservando una semplice cartolina, di cui lui è stato un accanito collezionista, passione che per altro condividevamo, nascevano dei discorsi centrati su tutto quello che era raffigurato nell’immagine quasi sempre presa a casaccio dal pacchetto allacciato con un elastico, in cui era solito custodirle. Tuttavia capitava anche che egli mi facesse leggere un suo scritto poetico per capire io cosa ne pensassi e se quel suo sentimento affidato all’inchiostro su uno dei tanti fogli volanti sparsi per il cucinino e la sala da letto, fosse troppo intimo per poterlo scrivere. Non mi sono mai pronunciato a riguardo. Ho sempre risposto dicendogli che se lo aveva scritto era perché sentiva il bisogno di non dimenticare, o di dover rivelare a qualcuno l’intimità di quel pensiero espresso con i versi. Nel 2010, pochi anni prima che se ne andasse, zio Francesco decise di scrivere le sue Memorie raccogliendole in quel che io poi ho chiamato Diario, dove conservare i ricordi della sua fanciullezza e di quel ragazzo che visse tra i vicoli della Pruvulera.

F.M.: Che ne pienze? Facce bbuono a scrivere tutte sti ccose?

Io: Sì zio, fai benissimo. Anzi un giorno di questi vengo con la telecamera e ti riprendo anche mentre mi racconti tutto quello che ti passa per la testa, e mentre rispondi a qualche mia domanda.

Così poi ho fatto. Conservo le registrazioni di quelle nostre chiacchierate in quanto ho sempre reputato che la sua voce e l’espressione dei suoi occhi dimostrate mentre raccontava la città e le vicende famigliari, non dovessero essere perse. Un giorno, mi diede una busta – della spesa, dove come era suo solito raccoglieva spesso i suoi appunti e i fogli svolazzanti – insieme a due quaderni in cui erano raccolte le Memorie e a quel Diario che aveva deciso di scrivere. Quando se ne andò, dopo averlo salutato per l’ultima volta, mi ripromisi che prima o poi gli avrei reso il tributo che meritava di ricevere con la trascrizione dei suoi scritti e la stampa di questo SUO lavoro, in ricordo delle nostre belle, lunghe e profonde chiacchierate.»