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Capitano Amedeo Arpaia, Martire di Cefalonia

di Vincenzo Marasco

Al largo delle coste greche del Mar Ionio, dinanzi al Golfo di Patrasso, come se facesse da vedette alla profonda insenatura marina che si spinge fino a Corinto, è situata l’isola di Cefalonia.

La maggiore delle isole greche ioniche, distante dalle coste italiane circa 250 kilometri, Cefalonia con i suoi monti, la sua particolare conformazione orografica, le cui coste rocciose per tratti si tuffano nel blu del mare intervallate da piccole insenature e spiagge dorate, con la vasta copertura di alberi e arbusti mediterranei, dove prevalgono i pini neri autoctoni e uliveti, e con gli aggraziati piccoli insediamenti umani che, inerpicati e incastonati nelle piccole e profonde cale, rispecchia ogni bellezza dei bei paesaggi caratteristici del Mare Nostrum.

Cefalonia da paradiso in terra e da terra millenaria di storia, di miti, e di coraggiosi navigatori, nei giorni che seguirono l’8 settembre del 1943 si tinse di tenebra. Tenebre al cui già tetro buio si aggiunse il sangue di migliaia di soldati italiani.

Cefalonia durante quel settembre divenne terra di passione e tomba di coloro che non vollero rinunciare all’occasione per il proprio riscatto, che scelsero l’idea di un’Italia libera, opponendosi fermamente alle imposizioni di quelli che da alleati, con l’Armistizio di Cassibile, divennero i nuovi nemici da combattere.

 

Sintesi dei fatti di Cefalonia

 

Dopo la facile occupazione dell’Albania da parte delle forze armate italiane, avvenuta l’8 Aprile 1939, durante l’anno successivo tra gli strateghi italiani cominciò a maturare un piano d’attacco che prevedeva la continuazione delle operazioni militari nei Balcani. Come prossimo paese da occupare venne individuata la Grecia.

La campagna italiana in Grecia ebbe inizio con un ultimatum consegnato alle ore 03.00 del 28 Ottobre del 1940 all’Ambasciatore italiano in Grecia, Emanuele Grazzi, e alle autorità greche, 3 ore prima dell’inizio delle operazioni che videro irrompere sul territorio ellenico le truppe fasciste. L’Italia con il suo ultimatum chiedeva alla Grecia di mantenere la neutralità dello Stato. Quindi all’atto dell’aggressione non doveva seguire nessuna reazione che potesse mettere in difficoltà o peggio ancora impedirne l’invasione del paese non belligerante. Nel caso contrario, ogni eventuale azione di resistenza sarebbe stata annientata con l’uso delle armi. Invece le prospettive italiane di un facile cammino in territorio greco vennero da subito smentite da una tenace resistenza locale, che dopo mesi di dure battaglie costrinse gli stati maggiori italiani e Benito Mussolini a chiedere l’intervento dell’alleato tedesco.

L’appoggio germanico per gli italiani si dimostrò al quanto risolutivo, non solo in Grecia ma su tutto il territorio dei Balcani e con l’offensiva della Primavera del 1941 garantì alle truppe dell’Asse di arrivare in poco tempo fino ad Atene. Così alle ore 14.45 del 23 Aprile 1941, a Giannina, Tsolakoglou per la Grecia, il generale Alfred Jodl per la Germania e il generale Alberto Ferraro per l’Italia siglarono l’armistizio e l’immediata capitolazione della Grecia che mise fine alle ostilità sul fronte greco-albanese.

Cefalonia venne occupata dalle truppe italiane il 1° Maggio 1941. Il compito di presidiare l’isola venne affidato ai reparti della 33ª divisione fanteria “Acqui” comandata dal generale Antonio Gandin che aveva stabilito il proprio comando ad Argostoli alle cui dipendenze c’erano all’incirca 11mila uomini.

Il generale di divisione Antonio Gandin, comandante della divisione fanteria “Acqui”, MOVM. Fonte: https://www.movm.it/decorato/gandin-antonio

Durante la Primavera e l’Estate del 1943, vista la situazione di evidente declino verso cui si stavano avviando le forze armate italiane, ormai sempre più provate dal difficile andamento guerra su tutti i fronti e dallo sbarco in Sicilia degli alleati iniziato il 10 Luglio, in previsione di una possibile capitolazione, l’alleato tedesco fece insediare dei nuclei di appoggio presso i vari comandi italiani nelle zone occupate dell’Europa e dell’Africa.

I tedeschi sbarcarono a Cefalonia con un contingente di 2000 uomini nella prima decade di Agosto. Gli ordini ufficiali furono quelli di dare supporto agli italiani, ma visti gli ultimi epiloghi in Italia, la destituzione e l’arresto del Duce, e la presa del comando delle forze armate del maresciallo Pietro Badoglio, Hitler stesso diede disposizioni ben precise al comandante delle truppe tedesche di stanza a Cefalonia, il tenente colonnello Hans Barge. L’ordine impartito dal Führer fu quello di espletare più che altro funzioni di vigilanza sulla condotta degli italiani nelle isole e di reagire in ogni modo nel caso ci fosse stata una resa dell’alleato.

Con l’Armistizio di Cassibile, l’atto che segnava la fine della belligeranza italiana siglato durante la serata dell’8 Settembre 1943 dal generale Giuseppe Castellano a nome di Badoglio e dal generale statunitense Walter Bedell Smith a nome di Eisenhower, all’Italia venne imposta la resa incondizionata. Ciò determinerà momenti tragici su tutti i fronti di guerra dove erano impegnate le truppe italiane.

Sull’isola di Cefalonia, dove tra i soldati italiani le sensazioni di stupore non si fecero attendere, ma nemmeno gli attimi di felicità per quella resa anche attesa, la confusione sul da farsi si diffuse rapidamente.

La sera stessa dell’8 Settembre il generale Gandin ricevette il primo ordine dal comandante dell’11ª Armata, generale Carlo Vecchiarelli, a cui faceva capo la divisione “Acqui”, ordine che per altro venne per inviato per conoscenza anche al tenente colonnello Barge:

«[…] se i tedeschi non faranno atti di violenza armata, italiani non, dico non, faranno causa comune con i ribelli né con truppe anglo-americane che sbarcassero. Reagiranno con forza ad ogni violenza armata. Ognuno rimanga al suo posto con i compiti attuali. Sia mantenuto ogni mezzo disciplina esemplare.»

Tenente colonnello Hans Barge-Johannes. Fonte: web

Mentre gli italiani titubarono, sperando che la resa potesse almeno consentire loro di lasciare indenni le proprie posizioni, i tedeschi invece cominciarono ad attuale i piani previsti dal caso e le prime avvisaglie d’attrito tra le parti non si fecero attendere. Un primo caso si verificò all’alba del mattino successivo, nei pressi di Argostoli, quando un reparto tedesco proveniente dalla parte nord dell’isola, nel tentativo di avvicinare il quartier generale di Gandin, venne bloccato dai reparti italiani che puntandogli le armi lo costrinsero a ritornare indietro.    

Durante la mattinata per stemperare gli animi, per discutere della situazione ma soprattutto della non belligeranza tra le parti, Gandin ricevette la visita di Barge. Nel frattempo sopraggiunse un altro dispaccio inviato sempre dal comando generale di Atene, con il quale Vecchiarelli, a seguito del primo ordine dato la sera del giorno 8 settembre, ordinava di consegnare ai tedeschi tutte le batterie costiere e le artiglierie entro le ore 10 del giorno 10, mentre «[…] la consegna armi collettive per tutte forze armate italiane in Grecia avrà inizio su richiesta comandi tedeschi a partire dalle 12 di oggi (9 Settembre, n.d.a.).»

Al generale Gandin l’ordine impartitogli dal suo diretto superiore apparve in conflitto con le direttive dell’Armistizio e ciò lo portò a valutare con estrema attenzione la situazione, anche perché non gli erano mancate le manifestazioni da parte dei suoi uomini dimostranti la minata compattezza dei reparti.

Tra i suoi ufficiali comandanti cominciarono ad essere sostenute diverse linee di pensiero: c’era chi avrebbe rinunciato con piacere a combattere e ad arrendersi per la propria incolumità e quella dei loro sottoposti; chi invece riteneva di dover continuare la guerra al fianco dei tedeschi e chi ancora di imbracciare le armi per un’onorabile resistenza anche per un sentimento di riscatto nei confronti dei greci ma soprattutto degli stessi italiani, che, ormai stanchi della guerra, volevano un’Italia libera dal nazifascismo.

Gandin invece preferì la cautela cercando di evitare qualsiasi reazione dei suoi uomini che potesse sfociare in un massacro e per il momento Egli mantenne un aspetto di non belligeranza, in attesa anche di ulteriori comandi supremi provenienti dall’Italia, tenendo sempre presente la possibilità di trattare con i tedeschi una resa.

Barge, che nel frattempo mantenne anch’egli le riserve, sperando di evitare uno spargimento di sangue, il 10 Settembre ricevette un dispaccio dallo stato maggiore germanico che lo metteva in guardia, ordinando: «Dove vi sono reparti italiani o nuclei armati che oppongono resistenza bisogna dare un ultimatum a breve scadenza. Nell’occasione occorrerà dire con veemenza che gli ufficiali responsabili di questo tipo di resistenza verranno fucilati quali franchi tiratori se, alla scadenza dell’ultimatum, non avranno dato alle loro truppe l’ordine di consegnare le armi.»

Nonostante l’ordine perentorio ricevuto da Barge di sedare in ogni modo eventuali resistenze, tra tanti soldati italiani quella di non abbandonare le armi e consegnarsi ai tedeschi cominciò a divenire l’unica scelta possibile. Questa maturò anche anche grazie ai dubbi che cominciarono a manifestarsi nei confronti del loro diretto comandante, il generale Gandin, il quale in passato aveva ricevuto onorificenze tedesche e con questi aveva sempre vantato dei rapporti privilegiati.

Il giorno successivo alla presentazione dell’ultimatum che ancora una volta ribadiva la consegna delle artiglierie, la quasi totalità dei reparti della “Acqui” e quelli della Regia Marina presenti sull’isola, si opposero categoricamente, anzi preferirono intraprendere la decisione di una resistenza ad oltranza.

Tra gli ufficiali che più sostennero la scelta di non deporre le armi figurarono i capitani Renzo Apollonio, Amos Pampaloni e Abele Ambrosini, che furono anche coloro che ostentarono i maggiori dubbi sulla reale condotta di Gandin, tanto da arrivare ad affrontarlo in un durissimo “faccia a faccia”. Oltre al pesante affronto avuto con i suoi capitani, il giorno 12 Settembre Gandin dovette subire un attentato ad opera del carabiniere Nicola Tirino che lanciò una bomba a mano contro la sua macchina ma che non esplose.

Tuttavia gli ordini dall’Italia su come i reparti comandati da Gandin dovevano comportarsi nei confronti dei tedeschi vennero inviati, ma ancora oggi c’è chi non riesce a spiegarsi il perché quei due radiogrammi inviati da Marina Brindisi al comando della “Acqui”, quindi al generale Gandin, il giorno 11 Settembre invece risulterebbero essere arrivati a Cefalonia tra il 13 e il 14 con un clamoroso ritardo. Nella fattispecie il caso alimentò ancor di più le ombre sulla reale condotta dell’alto ufficiale, che, imperterrito invece, continuò a guadagnare tempo anziché agire, incontrandosi più volte con Barge per avere delle proroghe sull’ultimatum era stato avanzato dai comandi nazisti.

Comunque sia gli ordini inviati dall’Italia a Cefalonia, che annullavano di fatto quelli del generale Vecchiarelli del giorno 8, furono chiari:

1)N.1027/CS. Risposta 41414 data 11 corrente // Truppe tedesche devono essere considerate nemiche // Marina Brindisi;

2)N.1029/CS. Comunicate at Generale Gandin che deve resistere con le armi at intimazione tedesca di disarmo a Cefalonia et Corfù et altre isole // Marina Brindisi.

Argostoli, Cefalonia, 13 Settembre 1943, arrivo di una sezione della 410ª batteria comandata dal tenente Emanuele Ferrara, per la difesa del comando di artiglieria. Archivio Renzo Apollonio, tramite https://www.televignole.it/cefalonia-1943-tante-verita, a cura di Cornelio Galas

L’atto irreparabile e che in seguito costrinse Gandin a ricorrere alla difensiva, accadde la mattina del giorno 13 Settembre quando al capitano Apollonio venne comunicato dal capitano Pampaloni che alla banchina di Argostoli, nei pressi del comando, stavano per attraccare due plotoni tedeschi a bordo di due motozattere. Apollonio optò subito per il contrattacco e dopo aver ordinato ai suoi sottoposti di armare le due mitragliatrici Breda da 20mm, rimosse dal dragamine Patrizia e montate sulla batteria che presidiava il molo, questi iniziarono a bersagliare i due mezzi da sbarco tedeschi. Dei mezzi uno affondò mentre l’altro, aiutato dal fuoco di supporto subito intervenne dei cannoni tedeschi che spararono dalla vicina penisola di Paliki, riuscì ad attraccare.

L’episodio, che aprì la breccia tra le parti, diede modo al capitano Apollonio di dire chiaramente che il comando della divisione si stava macchiando di tradimento, convincendo maggiormente anche gli altri soldati italiani che una resa sarebbe stata un’onta di disonore e che l’unica azione possibile in quel momento fosse quella di resistere difendendosi. Questo anche in virtù del fatto che sull’isola erano cominciate ad affluire nuove truppe tedesche.

Il 15 Settembre fu il giorno che segnò l’inizio dell’aspra battaglia e nei giorni a seguire fino al 21, la resistenza italiana fu feroce tanto che i tedeschi dovettero richiedere l’intervento della Luftwaffe i cui aerei Stuka, con continui attacchi, bersagliarono per giorni le postazioni italiane arroccate sull’isola.

Il 22 settembre il generale Gandin, che valutò le perdite in 2000 uomini, per fermare quella che ormai divenne una mattanza, issando bandiera bianca dal balcone della palazzina del comando italiano, decise di arrendersi.

Ma la resa non bastò. Fu Hitler in persona che, considerando gli italiani dei traditori, diede l’ordine di fucilarli scatenando la rappresaglia  sull’isola.

I catturati durante gli scontri vennero immediatamente fucilati.

Troianata, Cefalonia, 22 Settembre 1943. I resti delle salme di 31 ufficiali e 601 sottufficiali e soldati del 2° Battaglione del 17° Reggimento Fanteria e di altri reparti, sottoposti a esecuzione sommaria all’alba del 22 Settembre dal maggiore Klebe. Le salme verranno sepolte dalla popolazione locale in tre cisterne per poi essere riesumate dopo la guerra. Oggi i loro resti riposano nel Sacrario dei Caduti d’Oltremare di Bari. Archivio Renzo Apollonio, tramite https://www.televignole.it/cefalonia-1943-tante-verita-1, a cura di Cornelio Galas

Dalla mattina del 24 Settembre 129 ufficiali vennero condotti in una villetta nei pressi di Argostoli, nota col nome di Casetta Rossa e lì vennero giustiziati. Tra questi vi era anche il capitano Amedeo Arpaia, comandante della 2ª batteria del 3° gruppo da 75/27, 2° Reggimento di Artiglieria, di stanza a Capo San Teodoro, che con coraggio sostenne la sua posizione contro i tedeschi.

Il 28 settembre, ormai a massacro avvenuto, i corpi dei fucilati presso la Casetta Rossa vennero prelevati e, caricati su uno zatterone imbottito di esplosivo, dopo essere stati zavorrati, vennero trasportati fino all’isolotto di Verdiani e fatti affondati.

Da quel brutale massacro non venne risparmiato nemmeno il general Gandin fucilato anche Lui il 24 Settembre per non aver accettato la resa. Alle fucilazioni degli ufficiali si sommarono episodi di inenarrabile violenza commessi dai tedeschi, che, per stizza, con le mitragliatrici pesanti, aprirono il fuoco contro i militari che avevano accettato l’ordine di resa.    

Non bastò il sangue versato a terra. La vendetta germanica continuò successivamente con la deportazione dei sopravvissuti via mare.

1264 prigionieri di Cefalonia, stipati sui piroscafi Ardena e il Marguerite le cui stive vennero fatte allargare appositamente, per essere condotti presso i campi di lavoro in Germania, trovarono la morte in mare a causa dell’affondamento dei piroscafi su cui viaggiavano in quanto saltarono in aria dopo aver colpito delle mine marine durante la navigazione.

L’Ardena con a bordo 840 prigionieri affondò il 28 Settembre. I morti furono 720. Il Marguerite invece, con a bordo 900 prigionieri, affondò il 13 Ottobre portandosi con sè 544 soldati italiani. A questi si aggiunsero anche quelli periti nell’affondamento della Mario Roselli proveniente da Corfù, che a Cefalonia caricò ulteriori uomini. In questo caso dei 5500 militari italiani trasportati ne perirono 1302.

A terra invece, su una valutazione di 10700 militari presenti sull’isola, durante i combattimenti e i massacri avvenuti successivamente, in seguito venne stimato che ne fossero stati uccisi circa 2500, che sommati a quelli morti in mare il numero complessivo delle vittime italiane dell’Eccidio di Cefalonia fosse da stabilirsi a circa 4000 morti.

 

La testimonianza del sergente maggiore Saverio Perrone (1922-2008)

 

Il sergente maggiore Saverio Perrone nasce a Tricarico, in provincia di Potenza, il 6 Gennaio 1922.

In forza al 2° Reggimento di Artiglieria contraerea della divisione fanteria “Acqui”, era inquadrato nel 3° gruppo da 75/27 comandato dal tenente colonnello Cesare Fiandini ed era membro della 2ª batteria, quella del capitano Amedeo Arpaia.

Dal 15 al 22 Settembre 1943, decidendo di non arrendersi ai tedeschi, a Cefalonia combatté al fianco del suo capitano, vivendo in prima persona i tragici facci che ne seguirono. Rientrato in Italia nel 1945 dopo un lungo periodo di prigionia trascorso nei campi di concentramento titini, decise di passare da Torre Annunziata con l’intento di poter alleviare il dolore dei familiari del capitano Amedeo Arpaia, trucidato durante le rappresaglie tedesche sull’isola.  

Quella di Saverio è una testimonianza dura ma preziosa, che per fortuna non è andata dimenticata. Saverio ha sempre portato con se il ricordo di quei giorni vissuti a Cefalonia e la sua sensibilità, come racconta chi ha avuto modo di intervistarlo, non gli ha mai permesso di rivivere quei tragici fatti con distacco ed ha avuto sempre un pensiero particolare riservato al “suo” giovane capitano, Amedeo Arpaia.

Il sergente maggiore Saverio Perrone (1922-2008)

Il sergente maggiore Saverio Perrone nasce a Tricarico, in provincia di Potenza, il 6 Gennaio 1922.

In forza al 2° Reggimento di Artiglieria contraerea della divisione fanteria “Acqui”, era inquadrato nel 3° gruppo da 75/27 comandato dal tenente colonnello Cesare Fiandini ed era membro della 2ª batteria, quella del capitano Amedeo Arpaia.

Dal 15 al 22 Settembre 1943, decidendo di non arrendersi ai tedeschi, a Cefalonia combatté al fianco del suo capitano, vivendo in prima persona i tragici facci che ne seguirono. Rientrato in Italia nel 1945 dopo un lungo periodo di prigionia trascorso nei campi di concentramento titini, decise di passare da Torre Annunziata con l’intento di poter alleviare il dolore dei familiari del capitano Amedeo Arpaia, trucidato durante le rappresaglie tedesche sull’isola.  

Quella di Saverio è una testimonianza dura ma preziosa, che per fortuna non è andata dimenticata. Saverio ha sempre portato con sè il ricordo di quei giorni vissuti a Cefalonia e la sua sensibilità, come racconta chi ha avuto modo di intervistarlo, non gli ha mai permesso di rivivere quei tragici fatti con distacco ed ha avuto sempre un pensiero particolare riservato al “suo” giovane capitano, Amedeo Arpaia.

«Nei primi giorni del Maggio 1940, il 3° gruppo del 2° Reggimento artiglieria controaerei, di stanza a Napoli nella caserma “Armando Diaz”, cui appartengo, nella batteria del capitano Amedeo Arpaia, viene assegnato, quale unità complementare, alla divisione di fanteria “Acqui”, nell’isola greca di Cefalonia. All’epoca dei fatti, rivesto il grado di sergente maggiore.

Nel doloroso giorno dell’8 Settembre 1943, il generale Antonio Gandin, comandante della divisione, dopo un penoso travaglio, ci indica la via del dovere ponendosi alla testa della sua unità, contro la divisione “Stella Alpina”. Dopo gli scontri, protrattisi per una settimana ed oltre, la reazione avversaria ci porta a patire rappresaglie inaudite, che non trovano precedenti nella storia degli eserciti occidentali. Con il mio reparto partecipo alle seguenti battaglie: Argostoli (15 Settembre); Kardakata (16, 17 e 18 Settembre); Capo Munta (19 Settembre); Dilinata (21 e 22 Settembre).

Nella tarda mattinata del 22 Settembre, a causa della sproporzione dei mezzi, la resistenza è spezzata e la divisione “Acqui” si arrende al nemico impietoso.

Ci troviamo a ridosso di Argostoli (località Gragnas) e la mia batteria è ancora schierata sia pure su due soli pezzi.

Tuttavia, il capitano Arpaia rimane imperterrito al centro dello schieramento. Gli aerei si sono allontanati dopo averci massacrati per giorni, dall’alba al tramonto, per tutta la durata delle operazioni. Avvertiamo solo saltuarie scariche di mitra, non lontano da noi, che individuiamo lungo il vallone di Santa Barbara e alla nostra destra (castello veneziano). La colonna, proveniente dal vallone Santa Barbara, ha raggiunto il ponte sulla laguna argostoliota, mentre il mio capitano si accorge di essere rimasto solo, giacché tutto il nostro schieramento ha cessato di lottare. Riesce ad avere dal telefonista Bruno Paone da Maida, una sola linea rimasta e parla con il maggiore che comanda i reparti di Marina a terra (pare si chiami Barone), che laconicamente lo informa sulla situazione, disponendo la resa perché nulla è rimasto più in piedi. Ma i tedeschi sono già nei pressi del caposaldo e noi, in camiciola e pantaloncini, ordinati e a fronte alta dietro al nostro comandante di batteria, che ci ha guidati per 3 anni e 3 mesi, siamo collocati a ridosso della casa del signor Dionisio Tsacarisianos.

Di fronte a noi, a destra e a sinistra, vi sono 2 squadre armate di mitra. Ci tolgono orologi e portafogli, ma a me il portafoglio lo lasciano perché è vuoto. Quando il mio comandante dice a un tedesco main alloggio trinken, senza indugio, un gruppo di tedeschi si porta nell’adiacente casetta da dove, dopo una decina di muniti, ne esce con 2 bottiglie di liquore e un fagottino di sigarette.

Intanto viene verso di noi, dalla salita che mena al ponte, un motociclista tedesco che urla una comunicazione di servizio (tradotta fortunatamente per noi dal caporal maggiore Renato Avella, interprete turistico in quel di Napoli), per la quale ci fa grazia della vita. Ma questo “benedetto” motociclista non riesce a giungere in tempo al vicino deposito munizioni e viveri del VII gruppo cannoni da 105, dove fucilano il capitano Antonio Valgoi con l’intero suo reparto.  

Verso le ore 14, suppongo questa sia l’ora, siamo nella caserma “Mussolini”, ex sede del Distretto Militare greco. Intanto affluiscono i resti di altri gloriosi reparti, a cominciare da quelli del 17° Fanteria.

Solo sentendo “radio fante”, ci rendiamo conto della grande carneficina cui erano stati sottoposti i nostri compagni.

Il giorno dopo, nel pomeriggio, riceviamo un goccio di acqua potabile.

La notte seguente la trascorriamo unitamente ai miei commilitoni artiglieri, assieme al nostro capitano. Ammucchiati gli uni sugli altri e, a mano a mano che i ragazzi si assopiscono, il capitano li accarezza trovando il tempo per dirmi: «tienili uniti quanto più possibile. Se torni, fermati a casa mia per dire ai miei come sono andate le cose qui.» Intuiva che per lui stava arrivando il peggio.

Sorge l’alba di quel 24 Settembre, quando tutti gli ufficiali vengono chiamati per la partenza verso la Germania. Quasi tutti (non erano censiti), si presentano al portale di ingresso dai tedeschi indicato quale posto di raccolta e, nel contempo, tutti noi ci siamo sospinti dalla parte opposta del cortile.

Io mi trovavo davanti a tutti.

Vedo arrivare una fila di auto carrette SPA e, su ciascuna, vengono fatti salire 8 ufficiali. Nessun ufficiale ha una parvenza di bagaglio.

Noto il sottotenente Ferdinando Poma il tenente Dante Villella e il capitano Arpaia, il mio Comandante.

Mi slancio allora verso la quarta auto carretta per poterli salutare.

Il capitano ha il tempo per gridarmi: «ricordati di cosa ti ho raccomandato stanotte.».

Non mi rendo conto di quanto stesse accadendo, allorché due soldati germanici mi chiedono, con sospettosa ed eccessiva gentilezza, di accomodarmi sulla vicina auto carretta per partire.

Non comprendo la lingua tedesca e non capisco cosa vogliano da me. Mi accingo a salire sul mezzo, quando dalla tasca della camiciola mi cade il tesserino di riconoscimento militare. Uno dei soldati germanici stancamente lo raccoglie e legge il mio grado.

Dopo una breve consultazione tra loro, vengo spinto a terra con un certo disappunto, mentre mi gridarono: «vai via sottufficiale.»

L’autocolonna parte e, invece di dirigersi verso il porto, girò verso capo San Teodoro, dove viene realizzato l’ennesimo, vergognoso e impietoso eccidio.

Tutto si svolge esattamente come descritto, dettagliatamente, dal cappellano del 33° Reggimento artiglieria, Padre Romualdo Formato nel suo Eccidio di Cefalonia, che fu presente durante le fucilazioni e raccolse le confidenze e gli ultimi attimi di vita dei condannati.

In una calda mattina del lontano giugno 1945, un giovane (il sottoscritto) denutrito e malvestito, fuggito da un campo di concentramento titino (ma questa è un’altra storia), sta faticosamente raggiungendo la sua terra di Basilicata.

Si ferma a Torre Annunziata per assolvere a un penoso e delicato compito, quello di notificare alla famiglia Arpaia che il loro Amedeo non sarebbe più tornato.

Nell’approssimarsi di via Maresca, vede una fiumana di popolo che si avviava verso la Chiesa Collegiale, ove si sta svolgendo una cerimonia funebre proprio in onore del Caduto.

Si accoda al corteo e si ferma in un buio angolo della Chiesa. Quando, all’elevazione, un picchetto di fanteria presenta le armi, chiude gli occhi e fa l’appello degli eroici componenti della batteria “ARPAIA”.

Ho cercato i famigliari dei Caduti e ho rintracciato i superstiti ancora vivi.

Siamo insieme da 12 lustri e, in parecchi, siamo tornati a Cefalonia per pregare e meditare. Per restare con loro che, pure da morti, ci indicano la via del dovere.»

 

Da «Cefalonia 1943-2003» di Giuseppe M. Tricarico, estratto dalla Rivista Militare n.3/2003, pp. 7-8.

 

Capitano Amedeo Arpaia. Note biografiche.

 

Il capitano Amedeo Arpaia, primo di 11 figli, nasce a Torre Annunziata il 3 Febbraio 1908 al civico 82 di via Carlo Poerio, da Salvatore e Andreana Sola. La famiglia Arpaia, ben nota in città, era titolare di un opificio già funzionante dal 1880 nei locali del piano terra dello stabile di famiglia che rimarrà attivo fino al 1954.

Si laurea in Ingegneria e diviene capitano d’artiglieria dopo aver frequentato il corso di A.U. a Pola. Presta il suo primo servizio a Palermo. Con l’inizio della Seconda Guerra Mondiale viene inizialmente assegnato alla batteria contraeree a difesa di Torre Annunziata e dal maggio 1940 entra in forza alla divisione fanteria “Acqui” assumendo  il comando della 2° batteria antiaerea, 3° gruppo del 2° reggimento artiglieria della stessa divisione.

Figura d’esempio e di coraggio verso gli altri ufficiali e i sottoposti del suo reparto, sempre con spirito paterno, conforta e infonde parole gioviali anche nei momenti più difficili, anche quando ormai era ben conscio del suo destino. Di carattere schietto e solare seppe guadagnarsi la simpatia di tutto il suo gruppo e quella degli altri reparti che, con ilarità, usavano chiamare la “batteria dei filosofi” quella del capitano Arpaia.

Il capitano Amedeo Arpaia viene giustiziato per rappresaglia dalle truppe germaniche il 24 Settembre 1943 a Cefalonia, insieme ad altri 128 ufficiali della Acqui presso la villetta di Argostoli nota come “Casetta Rossa”.

Il suo corpo, prelevato il giorno 28 settembre insieme a quelli degli altri ufficiali trucidati presso la Casetta Rossa, viene anch’esso fatto affondare nei pressi dell’isolotto di Verdiani e non verrà mai più ritrovato.

Il suo valore, sia morale che militare, viene presto riconosciuto dalla nascente Repubblica Italiana con il conferimento della Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con la seguente motivazione:

«Comandante di batteria contraerea fu tra i primi e più decisi assertori della lotta contro i tedeschi. Durante i combattimenti, nonostante l’intensa azione di bombardamento aereo che colpiva ripetutamente i suoi pezzi uccidendo numerosi artiglieri, con sereno eroismo persisteva nella sua azione di fuoco infliggendo severe perdite al nemico. Catturato, veniva fucilato, reo per aver combattuto per l’onore delle armi.»

Cefalonia, 24 Settembre 1943

 

Comunicazione ritardata per accertamenti a mezzo espresso raccomandato, inviata in data 20 Luglio 1945 al Comune di Torre Annunziata dal Ministero della Guerra, con la quale venivano riferite le cause della morte del capitano Amedeo Arpaia e la manifestazione di cordoglio riservato alla famiglia da parte del Ministro Efisio Cugusi. Archivio Ufficio Anagrafe di Torre Annunziata, Sez. Leva. Foto di Vincenzo Marasco

Il 28 aprile 1946, l’Amministrazione comunale di Torre Annunziata, a perenne ricordo del suo giovane e valoroso concittadino, gli dedica una lapide e l’8 aprile 1948, il governo cittadino retto dal sindaco Pasquale Monaco, con una delibera comunale cambia la toponomastica di Vico Novello con quella di “Capitano Amedeo Arpaia”, anche se l’intento iniziale era quello di dedicargli la strada in cui era nato, come viene proposto dal Comitato di Liberazione Nazionale torrese il 24 dicembre 1945, ma, su comunicazione della Prefettura di Napoli, il 22 gennaio 1946, si era opposta la Deputazione Napoletana di Storia Patria che non aveva ritenuto opportuno cambiare il nome della via intitolata all’eroe del Risorgimento italiano, Carlo Poerio.

Nel 30° Anniversario della Liberazione, la Città di Torre Annunziata gli conferisce una Medaglia d’Oro con la seguente motivazione:

«Eroica figura combattente, di soldato e di italiano, che all’ignominia della resa incondizionata a preponderanti forze naziste, unitamente a tutte le forze che presidiavano l’isola di Cefalonia in Grecia, scelse la resistenza armata fino all’ultima cartuccia, per l’onore e il prestigio della Patria lontana e dell’Esercito Italiano.

In località Casetta Rossa cadde sotto il piombo nazista il 24 Settembre 1943.

Fulgido esempio di dedizione al dovere e di amor patrio, Torre Annunziata, che gli diede i natali, con imperituro ricordo.»

 

Torre Annunziata, 25 Aprile 1975

 

La lapide affissa sulla facciata del palazzo della famiglia Arpaia sito in Via Carlo Poerio. Foto di V. Marasco

 

 

 

 

 

 

 

«Alla Memoria del capitano Amedeo Arpaia che con i martiri di Cefalonia tradusse in azione il fremito di libertà e di rivolta contro l’oppressione teutonica illuminandosi di tanta gloria quanto di vergogna si macchiarono quelli che il 24 Settembre 1943 ne compirono la strage. Il popolo fiero di Lui. Torre Annunziata 28 aprile 1946»

 

 

 

 

 

 

Andreina Arpaia ricorda suo Zio, il capitano Amedeo Arpaia

 

«All’Eccidio di Cefalonia, a mio zio capitano Amedeo Arpaia, fucilato alla Casetta Rossa a Cefalonia.

Non ho conosciuto mio zio, perché sono nata poco meno di un anno dopo l’evento terribile.

La sua storia di abnegazione, la sua bella figura di uomo coraggioso è stata riferimento esemplare a tutti noi nipoti alla coerenza ed alla onestà ed al coraggio nei momenti difficili della vita.

A lui va tutta la mia gratitudine!

Durante l’Estate del ’85 io e la mia famiglia decidemmo una vacanza in camper all’Isola di Cefalonia. C’era in questa decisione da parte mia un motivo sentimentale e di orgoglio.

Volevo mostrare ai miei figli il luogo in cui mio zio, il capitano Amedeo Arpaia, fu fucilato dai tedeschi, durante l’eccidio di Cefalonia nel lontano settembre del1943.

Ci imbarcammo a Bari per fare scalo a Patrasso per poi dirigerci a Cefalonia.

Fu una traversata di nove ore. Felici di poter fotografare Itaca, patria di Ulisse e poi giungemmo a Cefalonia, la più grande delle isole dello Ionio.

Ci sistemammo in un campeggio ad Argostoli, il capoluogo, perché la Casetta Rossa, luogo in cui venne perpetrato l’eccidio era lì nelle vicinanze.

Bellissima l’insenatura, con le acque limpide e trasparenti, calme ed immobili, come un grande lago, testimoni del massacro.

Intorno un paesaggio incantevole, lussureggiante per i giardini di macchia mediterranea, si respirava un’aria dolce e fresca, profumata di mirto e lavanda. Erano quelli i luoghi e certamente l’aria ed il clima respirati dal mio grande e coraggioso zio, e da tutti i suoi commilitoni.

Nella piazza di Argostoli facemmo conoscenza con Gnognos e la sua famiglia, con i quali lo zio Amedeo aveva creato rapporti di familiarità durante l’occupazione, come essi stessi ci raccontarono, pur avendo dovuto presidiare la loro casa. Diverse volte ne avevano apprezzato il prestigio morale e l’umanità ed anche la naturalezza e la simpatia.

Quella sera, in piazza ad Argostoli, facemmo amicizia con altri greci: «Oinos in freni cardias!»

Il vino giunge al cuore!

Queste erano le espressioni di amicizia verso noi italiani.

Alcuni di loro ricordavano e nutrivano sentimenti certamente di stima verso l’ufficiale che dopo ore di cruenta battaglia con i suoi soldati affrontò l’esecuzione con il sorriso e con coraggio, confortando fino alla fine i suoi compagni.

Il mattino dopo facemmo visita alla Casetta Rossa, in compagnia di Gnognos e dell’amico Dimitri.

Sul luogo dell’olocausto ripercorremmo con la mente e con l’animo cupo i momenti di smarrimento, di strazio indescrivibile e fortemente drammatici che hanno segnato per sempre la memoria di quei giorni!

Certamente una tragedia determinata dalla confusione e dalla irresponsabilità dell’alto comando italiano.

Quel mare poetico, meraviglioso, infinito, fu testimone di un’ecatombe.

Centinaia di morti saranno gettati in mare dopo essere stati fucilati.

Ancora oggi sono turbata e commossa da questi ricordi.»

Andreina Arpaia, 5 febbraio 2019.

 

La lapide affissa sulla facciata settentrionale della cappella gentilizia della famiglia Arpaia nel cimitero di Torre Annunziata, che ricorda la vicenda del giovane Amedeo. Foto di V. Marasco

«Ad imperitura memoria del capitano d’artiglieria AMEDEO ARPAIA che il 24 settembre del 1943 nell’orrendo massacro di Cefalonia affrontando sereno ed impavido l’assassino piombo tedesco rinnovò lo sfortunato valore italico sacrificando la balda giovinezza che l’Italia ha immortalata iscrivendone il nome nell’Albo d’Oro dei Caduti per la Patria»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Repertorio fotografico:

 

Il capitano Amedeo Arpaia, a sinistra, e il tenente Antonio Ferrari del 3° gruppo contraerea, a San Teodoro.
Archivio Renzo Apollonio tramite https://www.televignole.it/cefalonia-1943-tante-verita, a cura di Cornelio Galas.

 

Da sinistra: il sottotenente Rabasco, il tenente Villella, il capitano Amedeo Arpaia, il capitano medico Giuseppe Muscettola, il capitano Cervelli, il sottotenente Nando Poma, del 33° Reggimento artiglieria. Archivio Renzo Apollonio tramite https://www.televignole.it/cefalonia-1943-tante-verita, a cura di Cornelio Galas.
Rielaborazione a colori a cura di Pio Pugliese.

 

Un gruppo di artiglieri della “batteria dei filosofi” del capitano Amedeo Arpaia. Archivio Renzo Apollonio tramite https://www.televignole.it/cefalonia-1943-tante-verita, a cura di Cornelio Galas

 

Da sinistra: il tenente colonnello Cesare Fiandini, responsabile dell’artiglieria divisionale, il capitano Amedeo Arpaia, il suo secondo, tenente Dante Villella, il sottotenente Polidori. Archivio Renzo Apollonio tramite https://www.televignole.it/cefalonia-1943-tante-verita, a cura di Cornelio Galas.
Rielaborazione a colori a cura di Pio Pugliese

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bibliografia e sitografia:

 

Archivio Anagrafe del Comune di Torre Annunziata, sez. Leva

Archivio Privato Prof. Russo Salvatore

 

Luisa Bove, Il giorno in cui mio padre non morì. Storia di un sopravvissuto all’eccidio di Cefalonia, 2016

Camillo Brezzi, a cura di, Né eroi, né martiri, soltanto soldati. La Divisione “Acqui” a Cefalonia e Corfù settembre 1943, il Mulino, Bologna 2014

Alfio Caruso, Italiani dovete morire. Cefalonia, Settembre 1943. Il massacro della divisione Acqui a Cefalonia, Neri Pozza Editore, Vicenza 2021

Massimo Filippini, La vera storia dell’Eccidio di Cefalonia. Quello che gli italiani non hanno mai saputo sulla tragica fine della divisione “Acqui”, CDL Edizioni, s.d.

Padre Romualdo Formato, L’Eccidio di Cefalonia. La tragica testimonianza dell’isola della morte, Donatello De Luigi Editore, 1946

Fioravante Meo, Salvatore Russo, Torre Annunziata immagini, uomini, fatti, ed. D’Amelio, Casoria 1997

Paolo Paoletti, I traditi di Cefalonia. La vicenda della Divisione Acqui 1943-1944, Fratelli Frilli Editori, 2003

Paolo Paoletti, Cefalonia 1943. Una Verità inimmaginabile, Franco Angeli, 2007

Paolo Paoletti, Cefalonia. Sangue intorno alla casetta rossa. La fucilazione degli ufficiali della divisione Acqui. 24-25 settembre 1943, EA – Edizioni Agemina, Firenze 2009

Orazio Pavignani, Cefalonia: io c’ero. Storie di soldati della divisione Acqui trucidata a Cefalonia e Corfù dopo l’8 Settembre 1943, Tralerighe Libri, 2020

Giorgio Rochat, Marcello Venturi, La divisione Acqui a Cefalonia, Settembre 1943, ed. Mursia, 1993

Elena Aga Rossi, Cefalonia. La resistenza, l’eccidio, il mito, il Mulino, 2021

Triaius, La tragedia di Cefalonia, Ugo Pinnaro – Arti Grafiche “Santa Barbara”, Roma 1945

Sakkatos Vanghelis, Cefalonia 1943. L’eccidio della divisione Acqui e la resistenza greca nei ricordi di un ragazzo, Impressioni Grafiche, Acqui Terme 2004

Rivista Militare n.3/2003

 

https://www.lessicobiograficoimi.it

http://www.associazioneacqui.it

http://www.divisioneacqui.com

https://it.wikipedia.org/wiki/Italiani_dovete_morire

https://it.wikipedia.org/wiki/Eccidio_di_Cefalonia

https://www.italiaestera.net/modules.php?name=News&file=article&sid=8901

https://issuu.com/rivista.militare1/docs/2003-cefalonia_1943-2003-testo/7

https://www.televignole.it/cefal0nia-1943-tante-verita-5/

https://www.vesuvioweb.com/it/2012/01/vincenzo-marasco-omaggio-al-capitano-amedeo-arpaia-martire-di-cefalonia/

https://www.torresette.news/cultura/2016/05/06/torre-annunziata—amedeo-arpaia-l-eroe-di-cefalonia-nella-ii-guerra-mondiale#rispondi-anchor-new

 

Si ringraziano la signora Andreina Arpaia, il signor Gaetano Ferrone per le informazioni e il contributo offerto in corso d’opera e la prof.ssa Lucia Muoio.

 

A cura di Vincenzo Marasco – Centro Studi Storici “Nicolò d’Alagno”